domenica 22 novembre 2015

Oriana, il Daesh e la guerra al terrore islamico

“Diventeremo l’Eurabia, in nemico è in casa nostra e non vuole dialogare”, queste le parole forse più forti pronunciate da Oriana Fallaci all’indomani degli attentati dell’11 settembre. Il termine Eurabia fu coniato dalla scrittrice ebraica Bat Ye’or che ipotizzava un’alleanza euro-araba contro Israele. Cardini di questo pensiero erano
a) l’atteggiamento più o meno palese filo arabo di molti stati europei nella questione palestinese
b) la costruzione di una politica degli esteri europea (essenzialmente condotta dalla Francia) in contrapposizione con quella degli Stati Uniti, storicamente schierati al fianco di Israele
c) le curve demografiche specularmente opposte di europei e musulmani (è interessante che questo elemento venga ripreso da alcuni Imam radicali, i quali ricordano che un musulmano può avere fino a 4 mogli e il tasso di natalità europeo è poco sopra 1).

Dunque nell’accezione originale il pericolo di una islamizzazione dell’Europa era decisamente riferito alla questione palestinese. La versione fornita dalla Fallaci invece, pur riprendendo alcuni di quei temi, (debolezza europea e anche americana di fronte alla minaccia islamica), ipotizzava una colonizzazione progressiva dell’occidente attraverso flussi migratori di popolazioni arabe e africane verso l’Europa.

L’offensiva dell’Isis sul territorio europeo con gli attentati di Parigi e le minacce alle altre capitali europee rappresenta l’attuazione di questo piano di invasione?

La propaganda sciacallesca di Salvini e di porzioni di centrodestra italiano e non vorrebbero farlo credere, ma un’analisi più attenta porta ad altre conclusioni.

Il califfato di Al Baghdadi si è subito differenziato nettamente rispetto ad Al Qaeda, di cui è una sorta di versione 2.0. Il limite dell’organizzazione di Bin Laden e Zawahiri era la non territorialità. Al Qaeda era un’organizzazione terroristica diffusa, organizzata in bande locali senza un territorio di riferimento. Le cellule qaediste agivano contro un nemico comune, l’Occidente, ovunque ne avessero la possibilità ma le loro azioni non avevano uno scopo più complesso. L’Isis invece si è posto subito l’obiettivo di organizzarsi in forma di stato, con un territorio definito, una propria organizzazione burocratica, con proprie attività commerciali e persino con la riscossione di tasse. La principale attività non è quella di seminare il terrore a Parigi piuttosto che a Roma, bensì quella di conquistare territori ricchi di materie prime e di petrolio e sfruttarne le potenzialità economiche.  Gli introiti del califfato sono molteplici, esattamente come per ogni organizzazione statale o parastatale, e vanno dal commercio (in nero) di petrolio al merchandising, da quello di opere d’arte ai dazi. In più ci sono tutte le attività tipiche di un’organizzazione criminale come il saccheggio delle banche e i riscatti per rapimenti. Insomma è molto più di un’organizzazione di fanatici. E’stato calcolato che il patrimonio accumulato ammonta a 2 miliardi di dollari e gli introiti da vendita di petrolio a circa 3 milioni di dollari al giorno.

Altro discorso meritano i finanziamenti ricevuti dal califfato. Il Washington Post ha condotto un’inchiesta  un'inchiesta dalla quale emerge che questi finanziamenti arrivano prevalentemente da Arabia, Kuwait e Qatar attraverso donazioni private.

Il Califfato occupa stabilmente 3 territori, le province di Raqqa in Siria, di Mosul in Iraq e di Sirte in Libia. Elemento comune è l’instabilità politica di quei Paesi  nei quali è facile con armi e determinazione conquistare spazi. 

Sfruttando dunque le tensioni geopolitiche, e gli interventi maldestri dell’Occidente, organizzazioni criminali mediamente organizzate possono prendere il controllo di aree intere del medio oriente; una lezione di cui tener conto e probabilmente è uno dei motivi per cui le truppe americane durante la prima guerra del golfo si fermarono a pochi chilometri da Bagdad, lasciando al suo posto Saddam.

Le principali e più cruente azioni terroristiche non sono state rivolte verso l’Europa ma contro le enclave curde e yazide e  verso gli sciiti, contro i quali i musulmani di confessione sunnita conducono una battaglia secolare. I 129 morti di Parigi fanno inorridire ma l’elenco delle azioni riconducibili all’Is è ben lungo.
Gli uomini del califfato hanno colpito in Arabia Saudita sia nella zona di Ihssa a maggioranza sciita che a Saihat (37 morti), nel Kuwait (27 morti), Tunisia (39 morti a cui si aggiungono le 22 vittime del museo del Bardo), Yemen (25 morti), Turchia (158 morti), Libano (43 morti), Egitto (4 morti) , Afganistan (35 morti). Poi ci sono le centinaia di vittime e deportati di Kobane, Mosul (670 sciiti fucilati), Beshir (700 morti), Kocho (80 vittime). La triste contabilità delle atrocità commesse dall’Isis è difficilissima ma indica abbastanza chiaramente che la maggior parte delle azioni sono state condotte fuori dall’Europa e non contro cittadini occidentali.

Questo significa che il pericolo è sovrastimato? Certamente no. Può significare però che gli attentati contro gli occidentali siano più riconducibili ad una forma di propaganda che non ad una reale intenzione di conquistare il vecchio continente e abbattere il “diavolo” occidentale. Da quando è stato costituito il califfato, sono oltre 3000 i foreign fighters di provenienza europea che sono andati ad affiancarsi ai 30.000 (erano 15.000 nel 2014 secondo Foreign Policy) miliziani dell’Isis impegnati nelle campagne militari in Siria e Iraq. Si tratta per lo più di giovani di origine araba e magrebina, europei di seconda e terza generazione, esattamente come gli attentatori di Parigi. Tutto sommato numericamente poco significativa invece la conversione di occidentali. In altre parole la retorica dell’attacco allo stile di vita decadente e peccaminoso dei miscredenti cristiani appare più come una ben congegnata operazione di marketing volta al reclutamento di giovani arrabbiati, che non come una via per la conquista del vecchio continente. In fondo, ricordiamolo, terzomondisti e critici della cosiddetta società in mano alle multinazionali ce ne sono anche fra noi europei; talvolta anche in parlamento. La stessa ricostituzione del califfato e l’autoproclamazione di unico califfo di tutti i musulmani sta ad indicare abbastanza chiaramente che l’obiettivo di Al Baghdadi è il controllo del mondo islamico e non di quello cristiano.

Pur contando su una organizzazione militare rigida e ben strutturata, pur considerando che all’interno delle aree fra Iraq e Siria sotto il controllo dell’Is vivono 6 milioni di abitanti, pur ammettendo che è di gran lunga il più ricco gruppo terroristico del mondo, è ben difficile che una entità tutto sommato piccola possa rappresentare una reale minaccia per un’organizzazione sovranzionale di 300 milioni di abitanti e ancor di più per gli USA o la Russia. Se non intervenissero altri e più complessi ragionamenti sarebbe abbastanza facile spazzare via lo Stato islamico dell’Iraq e della Siria. Come accennavamo sopra gli interventi militari degli ultimi 30 anni hanno dimostrato che abbattere una dittatura in quella regione porta più incognite che certezze. Significa i) dare il via ad una guerra per bande per il controllo di porzioni di territorio ii) dare impulso al sentimento antiamericano e antioccidentale, considerati  come invasori, sfruttatori e miscredenti iii) favorire il finanziamento occulto da parte di clan (le famiglie wahabite del Qatar ad esempio) a questa o quella  organizzazione di ribelli in funzione di combattere nemici storici. Se si vuole dunque annientare il Daesh è opportuno fare in modo che l’accerchiamento sia completo e della coalizione facciano parte anche quegli stati il cui atteggiamento è quantomeno equivoco. Un ruolo importante ce l’ha l’Iran, bersaglio di Al Baghdadi in quanto Paese sciita, ma un ruolo altrettanto importante devono averlo i Paesi arabi e l’Egitto. Gli attentati del 13 novembre e quello quasi contemporaneo all’aereo di linea russo hanno avvicinato Hollande e Putin, ammorbidendo anche l’intransigenza di Obama rispetto alle mira russe nell’area. La Turchia, interessata da fenomenii migratori molto più imponenti di quelli affrontati dall’Europa, ha aperto ad un possibile suo intervento più coordinato e sistematico. Resta da vedere che atteggiamento assumeranno i sauditi.

Vi sono altre 2 considerazioni da fare.
L’imponente flusso migratorio in atto da mesi dalle coste dell’Africa verso Italia e Grecia e via terra dalla Siria attraverso la Turchia e l’Europa orientale, poco ha a che fare con la minaccia terroristica. E’ ingenuo, oltre che fuorviante, pensare che un siriano che voglia farsi esplodere in una discoteca di Parigi rischi la vita su un scalcagnato barcone per raggiungere le coste europee. Le rotte dei terroristi seguono altri percorsi oppure, come abbiamo visto, perseguono la strada dell’indottrinamento di chi sul territorio europeo già ci vive. Allo scopo Al Qaeda prima e l’Isis ora hanno utilizzato tanto le moschee quanto internet.
Per chi è indottrinato in base alle più estremistiche interpretazioni del Corano, la morte non è una minaccia ma un premio. Combattere e morire in una guerra contro chi è considerato infedele è una ricompensa. Questo comporta che annunciare il pugno duro senza che ad esso corrisponda un’azione determinata non ottiene nessun effetto. Fanno sorridere quelli che predicano il dialogo con queste organizzazioni e, più o meno intenzionalmente, ne giustificano gli atti come risposta agli abusi degli occidentali. Non ci può essere dialogo con chi non ha nessuna intenzione di dialogare. In questo, e solo in questo, la Fallaci aveva ragione. 

Nessun commento :

Posta un commento