sabato 13 febbraio 2016

Quell’aumento dell’iva di cui nessuno per ora parla

In questi giorni è partita la campagna pubblicitaria del governo che illustra i mirabolanti risultati ottenuti da Renzi in due anni.  Gli spot, si sa, non sono mai esempio di equilibrio e imparzialità giacché persino gli attori che addentano avidi succulente merendine in realtà masticano finto cibo neanche commestibile che sputeranno a videocamere spente. Tuttavia nelle slide governative c’è del vero, del falso e qualche mistificante omissione.
E’ su queste omissioni che voglio concentrami perché se il recente passato descritto dal governo appare roseo (e non lo è) sul futuro si addensano nubi minacciose. 

Le rilevazioni Istat dell’ultimo trimestre 2015 hanno restituito un rallentamento della crescita, marcato da una contrazione della domanda nazionale con un dato congiunturale dello 0,6% lontano dallo 0,8% preventivato dal governo. Padoan e tutto il pd hanno replicato con un’alzata di spalle sottolineando che “l’importante è la direzione”, ovvero il segno + davanti allo 0. Se tanto mi dà tanto anche uno 0,1% sarebbe gradito dato che l’importante è il segno positivo. 
Mancanza di argomenti e un po’ di serpeggiante timore che il banco salti secondo me, di cui è testimonianza anche il riscaldamento dei toni usati da Renzi contro la Commissione europea.

Sin qui il PIL italiano ha beneficiato di almeno 4 fattori esogeni:
  1.      La discesa dei prezzi delle materie prime
  2.      Il ciclo economico in ripresa
  3.      Le manovre monetarie pro cicliche della BCE
  4.     La riduzione degli spread, e degli interessi sul debito, grazie al firewall attuato e promesso da   Draghi.

L’impatto delle riforme è ancora troppo poco significativo e gli altalenanti dati su occupati e disoccupati dopo Jobs Act e decontribuzione sono lì a sostanziarlo.
Dunque se crescita c’è stata è dovuta non ad un miglioramento delle condizioni economiche interne, bensì a fattori esterni. Se, come sembra, le stime del governo si riveleranno troppo ottimistiche, per far quadrare i conti si imporranno  ai cittadini amare sorprese.

La legge di stabilità 2015 si reggeva su una scommessa: che il miglioramento del dato sul prodotto interno lordo avrebbe consentito l’aggiustamento del bilancio pubblico e  l’avvicinamento all’Obiettivo di Medio Termine; ad assicurare questo risultato erano state inserite clausole di salvaguardia automatiche che prevedevano aumento dell’iva e delle accise. Solo grazie ad esse la legge di stabilità passò il vaglio della Commissione. In nome dell’ottimismo (o dell’aritmetica elettorale) il governo ha poi messo in atto una politica espansiva a colpi di 80 euro e di bonus vari, alcuni bizzarri come quello cultura finanziato con la flessibilità concessa per l’emergenza immigrati, continuando a confidare nel miglioramento della congiuntura globale e rimandando al 2017 le clausole di salvaguardia.

Solo che non sempre le cose vanno come si spera e talvolta succede che l’economia cinese rallenti, quella di Russia e Brasile precipiti in recessione, che il prezzo del petrolio costantemente basso impoverisca i Paesi emergenti e che si comincino a sentire scricchiolii anche nelle economie, come quella tedesca, molto più solide della nostra (che infatti frenano anche loro ma meno di noi.
Salta il banco, addio flessibilità ed ottimismo e bagno nella realtà che poco somiglia la mondo dei sogni renziano.

Quelle clausole, valgono 26,2 miliardi di gettito aggiuntivo. Per poter rispettare gli impegni presi con la Commissione, il debito pubblico dovrebbe calare nel 2017 di 90 miliardi (in valori nominali) e il rapporto col PIL di quasi 6 punti percentuali. Dopo un breve periodo di calo invece, da agosto 2015 è ripreso a salire (fonte Banca d’Italia) e ha già raggiunto e superato i 2.212 miliardi previsti per fine esercizio 2017 dall’aggiornamento del DEF.
Il deficit strutturale secondo il governo sarebbe prossimo allo 0,3%, invece la Commissione  lo rileva all'1,4%. 
Se il forward looking della Commissione e quello più vicino alla realtà (voi fra Renzi e Juncker di chi vi fidate?) nulla lascia pensare che lo stato della finanza pubblica consenta di evitare manovre aggiuntive o che le clausole di salvaguardia si possano disinnescare anche per il 2017. 

Certo ci sarebbe il taglio della spesa pubblica, ma, come ha ben detto Marco Travaglio, questo governo si è dimostrato più abile a tagliare i commissari alla spending review che la spesa stessa.

Cosa significherebbe un aumento di 3 punti sull’iva? Sicuramente compressione ulteriore dei consumi, come sappiamo già molto deboli, e aumento della pressione fiscale. Significherebbe poi un’altra cosa: che la famigerata austerity non è determinata dagli euro burocrati di Bruxelles, i quali anzi da due anni a questa parte portano avanti moderate politiche espansive, ma dalla incapacità di Renzi di programmare politiche di bilancio sostenibili.

L’alternativa, qualche trucco contabile o un’altra procedura di infrazione di un’Europa che non si fida più delle parole del nostro premier.

Alla faccia di gufi, gufetti e altri animaletti dispettosi.